Dalle “Politiche familiari” – mettendo l’accento sui “Piani familiari comunali” – alla “Famiglia risorsa educativa ed educante” per concludersi con la “Bellezza della famiglia” nell’ultimo giorno dei lavori: questi, infatti, erano i titoli dei lavori delle diverse giornate, la traiettoria del Festival Siciliano della Famiglia, celebratosi a Catania dal pomeriggio di venerdì 7 giugno e chiusosi nella tarda mattinata della domenica di Pentecoste, al 9 giugno.
Noi Associazione Nazionale Famiglie Numerose, siamo entrati in scena nell’ultima mezza giornata, quando al centro del Festival c’era “La bellezza della famiglia”. Una mezza giornata ricca di presenze: oltre duecento persone, con il via vai di tanti figlioli, piccoli e grandi.
Non siamo entrati da soli, ma assieme alle “Famiglie per l’accoglienza”, all’ “Orientamento familiare”, alla “Comunità Papa Giovanni XIII” e alla “Comunione Evangelica” di Catania; senza dimenticare l’intervento di Ignacio Socias, già conosciuto a Bellaria e di Gigi De Palo.
Abbiamo presentato il nostro libro: “Educazione orizzontale. Il mestiere di sorelle e fratelli nelle famiglie numerose”. Un libro delle nostre famiglie, perché da loro é nato e in loro vuole essere operante. La “Scienza” della ‘Cattolica’ di Milano e la “Professione” della ‘Scuola di Consulenza Familiare’ di Bologna sono state chiamate a verificare la realtà e la fecondità della nostra esperienza sulla ‘educazione orizzontale’, per aprirne la strada a tutte le famiglie con figli e al paese.
Ci siamo entrati con le parole dirette e puntuali di Raffaella, senza sbavature ma con la forza di chi aveva vissuto e viveva quanto stava dicendo. L’accento era chiaro: certo ci sono ingiustizie nei confronti delle famiglie numerose; ma la famiglia numerosa resta una risorsa, una risorsa più grande dei pregiudizi e delle stesse iniquità e senza di essa la società sopravvive ma non vive; corre il rischio di non avere un volto, ma solo una maschera. Per questo è necessario dare alle famiglie con figli la consapevolezza del tesoro che posseggono e gli strumenti per meglio conoscerlo e valorizzarlo; darlo perché la società nel suo insieme non identifichi la famiglia numerosa con la famiglia bisognosa, perché è il Paese ad aver bisogno della famiglia e, in modo particolare, della famiglia con figli e numerosa.
E questo senza pensare – ha poi proseguito Giuseppe Butturini – di essere le famiglie del “Mulino Bianco” o di trasformarsi in una bandiera d’assalto o di diventare un prodotto da vendere, ma un dono da regalare: famiglie in cui il paese può trovare una sorgente per essere – oggi – coeso e avere – domani – un futuro. Perché la famiglia non è né solida e né liquida, ma resiliente. Capace di resistere perché è il luogo dove si resiste all’assorbimento dell’individuo, nel tentativo di togliergli il volto, smontandone così la famiglia.
Perché nella famiglia si impara a conoscersi, si scopre la propria identità – chi si è e cosa si può dare – entrando in relazione con l’altro, accogliendo e scoprendo la bellezza della diversità, non isolandosi e senza paura di entrare nel conflitto.
Un accento che poi è ritornato nel vibrante intervento di Gigi De Palo, per il quale la famiglia è bella non perché hanno cercato di dimostrartelo dicendoti che la famiglia è la cellula fondamentale della società, ma perché la si vive in casa giorno per giorno, in un concreto rapporto fra mamma e papà, fra loro e ciascuno dei figli, accogliendosi e accogliendoli cosi come si è e così come sono e non come ci si era o li si era sognati; facendo quel poco che si può e poi scoprendo in quel poco qualcosa di unico e magari carico di stupore.
Anche l’intervento di Socias è partito dalla realtà, da un esame dei fatti riguardanti il contesto in cui vive la famiglia e la vita della famiglia. Parole puntuali e vive cha abbiamo sentito a Bellaria, qui riproposte con una vivacità ed una simpatia che hanno strappato più di un applauso.
Nel Festival e alla sua vetta non siamo entrati o arrivati da soli, ma assieme ad altre associazioni familiari ed altre comunità. Sentendo vera una parola che da sempre ci ha accompagnati: “Nessuno sa fare tutto, ciascuno sa fare una cosa, assieme possiamo fare tutto”, sentendola vera, non solo dentro alla nostra associazione, ma anche lavorando assieme alle altre.
Il bello delle altre esperienze era proprio questo: rappresentavano un mondo alla rovescia, perché il mondo che vediamo ogni giorno possa diventare più diritto e questo senza imporsi, ma nella vita e nei rapporti quotidiani, con umile semplicità.
Questo era il bello: nel modo di presentarsi – sia la “Comunità di papa Giovanni” che la “Comunione evangelica” – mostravano il rifrangersi della bellezza della famiglia in quelle realtà, in quelle situazioni che la logica del mercato scarterebbe mentre quelle dell’Amore di un famiglia credente sa trasformare, mostrando che ogni vita può avere un senso ed uno sviluppo al di là – se non contro – ogni umana previsione: cosi come è successo in giovane trentaquatrenne – paralizzato nella parte sinistra del corpo – che nelle parole e nel suo canto ha raccontato come nella dimessa accoglienza di una famiglia si potesse riflettere l’amore di Dio e lui potesse dare un senso alla sua vita e scoprire che Dio non lo aveva imbrogliato.
Una logica che poi ha brillato a lungo e con altrettanta intensità nelle narrazioni di vita che si svolge in molte case delle “Comunità Papa Giovanni”; una logica suggestiva e convincente nel raccontare come la bellezza della famiglia può esprimersi anche negli ‘scarti’ della società, là dove pochi o nessuno avrebbe investito. Commoveva fissare volti e la stessa andatura di molti di quei giovani – ragazze e ragazzi –che si alternavano nel dare corpo ai diversi momenti di una giornata o a quelli dei rapporti fra le persone. Una logica dove tiene insieme lo stesso Amore sperimentato nelle famiglie di origine di chi poi ha scelto una strada solo diversa nel modo di viverla, ma con lo stesso Spirito di cui oggi – a Pentecoste – si vive e si celebra la festa. Non solo non sono mancati gli applausi, ma anche la commozione e le lacrime.
Insomma qualcosa che ti prendeva, qualcosa di Bello, con la B maiuscola; qualcosa che potrebbe essere al centro di un prossimo Festival nel quale la sintesi partisse sempre dalle diverse realtà della famiglia, al cui servizio si mettessero la “scienza”, la “professione” e la “politica”.
La famiglia di sempre certamente cosciente della molteplicità dei cambiamenti e trasformazioni in atto, ma altrettanto cosciente che la famiglia resta l’ambito naturale di partenza e permanente, in cui identità, differenza e fragilità possono più facilmente incontrarsi e comprendersi: strada indispensabile per il ben-vivere della famiglia e del paese.
E’ la conclusione che Giuseppe, chiamato alla fine, ha tirato, per chiudere – nei fatti – il Festival, almeno di quella mezza giornata. Si potrebbe dire: “politiche” familiari innovative solo se si parte dalle diverse “realtà” e da chi già le sta servendo e solo dopo dal “tavolino”.
G.R.B.